Come promesso, ci siamo riuniti. Tutti. Dopo almeno
15 anni.
Tutti intorno allo stesso tavolo, che però era imbandito
diversamente da come vi avevo raccontato. Le pietanze erano le stesse per tutti,
ed erano per la maggior parte provenienti dalla cucina di mia mamma.
Al posto
delle fette biscottate la pizza, del brodo i cannelloni di mia nonna, delle
fettine trasparenti il pollo con i peperoni, dello yogurt il cocomero e i
tozzetti al vino. Che mia mamma e mia zia avevano deciso di anticipare il
pranzo di ferragosto alla domenica precedente visto che il 15 non ci saremmo
stati tutti [Il Papà ha anche il suo paese natio da visitare, ma di questo parlerò
più avanti].
Tutto quel cambiamento in soli 15 anni mi aveva
fatto quasi cascare dalla sedia per quanto mi sentivo destabilizzata.
Strano, perché entrando in casa avevo notato che
sulla credenza erano ricomparse le stesse merendine con cui i miei cugini, ora
ultratrentenni, facevano colazione e merenda quando eravamo piccoli. Quando ho
visto le crostatine alla nutella del Mulino Bianco ho capito finalmente a chi
dobbiamo ancora la loro sacrosanta produzione: a mio cugino R. Scusate, volevo
dire R, che lui alla sua erre ci tiene molto. Dicevo, le
merendine, ne mangerà ancora 2-3 al dì.
Pure cugino R
e cugino F sembravano più o meno uguali, stesso peso anoressico per il
primo, stessa faccia da bonaccione per il secondo.
Eppure, tutto sembrava così evoluto verso una
direzione, quella luculliana: il banchetto perfetto. Il pranzo era tutto un
susseguirsi di complimenti su come era stato cucinato il tutto. A dir la verità
molti elogi se li è presi la Bisnonna e i suoi cannelloni, ma anche Nonna A e
mia zia sono state molto brave. I cugini mangiavano ogni cosa di gusto.
Addirittura cugino F scambiava commenti culinari con Fratello C, con il quale
ha sempre avuto ben poco da spartire in fatto di vivande. Cugino F è un
salutista convinto, Fratello C è venuto su a fettine panate e patatine fritte
(e pure figo, che si sa la vita è ingiusta) e ora si atteggia a chef.
La sera stessa siamo addirittura andati tutti
insieme a due sagre, quella della pecora prima e quella della birra poi.
Tutte
a Paese natio, che vive al proprio interno una ripartizione territoriale che
neanche il muro di Berlino rendeva così netta. Il Centro e lo Scalo.
Perennemente in concorrenza. Che se Centro propone la pecora, lo Scalo rilancia
con una festa della birra che manco l’Oktober Fest.
Poi, grazie a Dio, è arrivato il Day After. Quello che ristabilisce la normalità.
C’è stato un nuovo pranzo, sempre
preparato secondo i dettami della mia famiglia. Ma, ma, ma. Ai fornelli avevano
rifatto la loro comparsa 2 padelle identiche, in cui rosolavano i filetti.
Ma,
ma, ma. Uno ospitava quelli spessi e carnosi. L’altro delle varianti ‘snellite’
(non pensavo esistessero dei tagli così magri) e pallide.
Al momento di
mettersi a tavola, oltre alle zucchine al sugo, hanno fatto capolino da non so
dove delle patate bollite.
Non è il caso che vi spieghi a chi erano
destinati gli uni e gli altri. Vi dirò solo chi ha ristabilito l’ordine, la
consuetudine, la mia stabilità psicologica vacillante nel giorno addietro: mio
zio.
Il re dei brodini – che si atteggiava il giorno prima a Ronald McDonald
quanto a disinvoltura mangereccia - davanti ad una tavola imbandita con ogni
ben di Dio, dal formaggio magro al filetto di manzo fumante, dalle patate
bollite alla pizza al forno, lui, proprio lui, ha proferito: “potrei avere il
mio yogurt magro con le fette biscottate?”
Ah, menomale. Voglio dire, uno al ricordo c’è
attaccato e vorrebbe che alcune cose, per quanto assurde, non cambiassero mai.
Nessun commento:
Posta un commento
commenti biscottosi...