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giovedì 16 maggio 2013

team player

Si fa un gran parlare di 'gioco di squadra'. Soprattutto nel mondo del lavoro.

Modus operandi rubato al mondo sportivo che rappresenta una domanda fissa, per non dire scontata, in tutti i colloqui di lavoro. 

Che ora che ci sono dentro, nei colloqui dico, non si contano più le volte che me lo hanno chiesto: "Are you a team player?"

Se fossi fedele al mio modo di rispondere di pancia anche in queste situazioni, risponderei: "Si ricorda del mio lavoro, quello di cui abbiamo parlato fino a quando non mi ha posto questa inedita domanda? Ecco, secondo lei, se non fossi un 'team player', mi avrebbero lasciato fare per 6 ANNI un lavoro che richiede di lavorare in team per almeno 12 ore al giorno??? Sì 12 ore, vuol dire che sono stata più team player con i miei colleghi che con la mia famiglia, tanto che talvolta mi sbagliavo e li chiamavo con il nome dei miei fratelli. Eh? Che ne dice?".

Fortunatamente, rispondo sempre che mi piace lavorare ad un progetto con gli altri, perché, anche se complicato, amo il confronto, il supporto e il piacere di condividere il raggiungimento di un obiettivo.

La verità è che mi piace proprio lavorare con gli altri, è una grande occasione di crescita, per limare il carattere lì dove necessario per confrontarsi con il mondo esterno. 

Quello che mi piace meno è che non si parla mai di 'gioco di squadra' quando si parla di famiglia.

Prendiamo tutta questa storia del nostro trasferimento a Bruxelles. I più hanno guardato a questa novità sentendosi in dovere di giustificare il fatto che ora sono senza lavoro come il risultato di una scelta obbligata, per non dire imposta, dal nuovo lavoro del Papà. Io, donna accasata, non potevo non seguire il marito, e, di conseguenza, ho dovuto lasciare il lavoro, gli amici e tutto il resto, in nome della famiglia.

Ecco, tutto questo ragionamento sembra farci visita direttamente dagli anni '50, con le sue perfette housewives (o femmes au foyer per i nostri amici belgi), donne completamente - e drammaticamente - immolate alla causa familiare.

Vi scioccherò dicendovi che io non mi sono affatto sentita obbligata. Io ho scelto e voluto con il Papà questa occasione. Io ho messo in discussione la mia vita lavorativa perché sentivo che quello che avevo non andava bene per me, e dunque ero pronta a rinunciarvi, sperando di trovare qualcosa che mi facesse stare bene altrove. 

Ho deciso deliberatamente di mettermi in gioco. Un gioco duro con cui faccio i conti tutti i giorni, una scelta che mantengo alta anche quando ho dei momenti di sconforto, perché decidere di trovare qualcosa che ti piace è duro e difficile da realizzare. Ma è la mia scelta e ci credo fino in fondo.

Se avessi avuto il lavoro della mia vita, se mi fossi sentita completamente realizzata, non avrei mai cambiato. Ma non ce ne sarebbe stato bisogno, perché non saremmo mai arrivati al punto di sentire l'esigenza di andare via, di cercare altro.

Analogamente se avessi avuto la percezione che Bruxelles poteva non rappresentare il posto giusto dove cercare una soddisfazione lavorativa, non mi sarei mai mossa. Non ci saremmo mai mossi.

Ricordo di aver detto al Papà una mattina di un anno fa: "cerchiamo qualcosa all'estero, in un posto che vada bene per entrambi, l'altro segue, ok?"

Da questo nostro patto, da questo nostro far squadra, da questo nostro "essere d'accordo sul da farsi" è nata quella che io vedo come un'opportunità. Un'opportunità che il Papà mi ha dato per cercare una serenità professionale che non avevo e una vita più bilanciata in cui dare il giusto spazio alla mia famiglia.

Opportunità che alcune volte mi sembra proprio dura da sfruttare. E sembra più una scelta con cui fare i conti. Una scelta da difendere davanti agli altri anche quando non so come, perché non ho ancora la dimostrazione del fatto che è, davvero, un'opportunità. Ora ho solo la mia intuizione.

Ma è la mia scelta, è così. E non ha bisogno di una giustificazione diversa.

P.S. Se vi va di credere in me, magari un po' di tifo aiuterebbe...

14 commenti:

  1. Alé o-o, alé o-o.
    Va bene? Io sto decidendo una cosa simile, ma senza andare all'estero. Stanno decidendo di lasciare a casa parecchie persone e io ho una gran voglia di andarmene, perché sono io che non voglio più lavorare lì. Perciò capisco benissimo e riconosco quegli sguardi. In bocca al lupo per tutto.

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    1. crepi!! ti ringrazio. Fai la scelta che ti puoi fare e che ti da maggiore serenità. Anche se è molto dura.

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  2. io tifo tantissimo!!! E forse al prossimo colloquio dovresti proprio parlare della tua capacità di fare squadra anche in famiglia, perchè non è per niente una cosa da poco!! bravi!

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    1. non è una cattiva idea, sai... ti farò sapere, intanto grazie!

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  3. ho una coppia di amici che hanno fatto la vostra stessa scelta....stanno pure loro a Bruxelles.... secondo me hanno fatto una scelta coraggiosa e grande... il loro figlio ne avrà giovamente... avrà una marcia in più da adulto... una mente più aperta e predisposta ai cambiamenti alle diversità rispetto ai suoi coetanei...

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    1. grazie, infatti è una scelta coraggiosa. E loro come si trovano?!

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  4. Io sto facendo la ola in ufficio per te, con tanto di collega basita! Hai fatto una scelta di cuore e di pancia, che non va a vantaggio di tuo marito ma anche tuo e di tuo figlio.
    Mi trovo nella stessa condizione, noi pure a marzo ci trasferiremo all'estero e spesso mi trovo ad essere più sostenuta da benemeriti sconosciuti che dai famigliari.
    Forza, avanti tutta!!!!!

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    1. grazie di cuore, soprattutto per la ola in ufficio! Dove andrete di bello? In ogni caso è un'esperienza incredibile.

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  5. Ciao, sono una mamma expat anch'io, prima in Cina ed ora in Thailandia, quindi capisco bene la situazione e ti dico che devi essere fiera di te stessa perché spesso la moglie che segue il marito all'estero non lavora, anche per il fatto che gestire i figli lontani dagli aiuti è molto difficile. Il fatto che tu stia cercando con entusiasmo un lavoro è ammirevole perché per te essere una mamma lavoratrice sarà ancora più difficile. Io in Cina avevo provato ad inventarmi qualcosa che potevo seguire anche da casa ed era stato un buon compromesso anche se non è arrivato ad essere remunerativo perché ci hanno di nuovo trasferito in Italia. Essere mogli expat è anche rimettersi continuamente in gioco.. Ora che i figli sono diventati due e ci siamo di nuovo trasferiti in Thailandia il pensiero del lavoro non mi è proprio ancora venuto! In bocca al lupo!

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    1. Grazie per la comprensione. Io a Bruxelles ci sono venuta proprio per cercarmi un lavoro migliore... vediamo!!!

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